sabato 17 ottobre 2020

Prossimi appuntamenti


Lunedì 19 ottobre - ore 10:10 - Radio Lombardia

Parleremo dell'uscita del libro 'Le interviste con la storia' e del prossimo incontro con Bookcity.
Radio Lombardia (100.3) o in TV canale 626

Sabato 24 ottobre - ore 16 - Architorta Bistrot 

Presentazione del libro 'Un anno e un giorno', con la partecipazione di Roberta Folatti, nell'ambito del progetto Rewind, mostra d'arte di Andrea Rocca.
Via Francesco Redi, 12 - Milano - ingresso libero con prenotazione obbligatoria. Per prenotare inviare una email a: info@tobeitaly.com


Sabato 14 novembre - ore 16:30 - Bookcity

Presentazione del libro 'Le interviste con la storia' con la partecipazione di Emina Gegic (drammaturga, sceneggiatrice e scrittrice), Cesare Novara (docente) e Vania Cuppari (presidente associazione Errante).
Associazione Errante -Via Luigi Capuana, 3 - Milano - ingresso libero con prenotazione obbligatoria. Per prenotare inviare una email a: errante.associazione@gmail.com

venerdì 4 settembre 2020

mercoledì 26 agosto 2020

Intervista con la storia: Sabrina Gallinari e Ludwig Wittgenstein

INTERVISTA CON LA STORIA 10


Il progetto è nato per sensibilizzare e raccontare il periodo di pandemia mondiale che stiamo vivendo.  Chiederemo aiuto a personaggi illustri del passato, a quelle donne e a quegli uomini che hanno fatto la storia.  Ascoltare la loro voce ci permetterà di riflettere e forse ci  aiuterà ad affrontare questo periodo con maggior consapevolezza e saggezza. Sarà la persona intervistata a scegliere il suo ‘mentore’ e a farci ascoltare la sua voce, dopo aver passato almeno una settimana insieme a lei/lui attraverso letture, visioni di video, ricerche. I mentori potranno avere pareri discordanti, addirittura opposti, non siamo qui per giudicarli ma per ascoltare la loro voce, per capire cosa ci direbbero se fossero qui, ora, con noi. Oggi abbiamo con noi Sabrina Gallinari e il suo mentore Ludwig Wittgenstein.




SABRINA GALLINARI 



Sabrina nasce nel 1970, in provincia di Piacenza, frequenta il liceo pedagogico e poi la facoltà di filosofia, convinta che quella dell’insegnante non sarebbe mai stata la sua professione. La curiosità che l’ha sempre contraddistinta l’ha però portata ad accettare, anni fa, un incarico temporaneo in una scuola privata che le ha fatto cambiare idea. Oggi è docente di storia e filosofia presso il liceo “A. Volta” in Val Tidone. Il suo spirito di avventura l’ha portata, negli anni, ad impegnarsi socialmente e politicamente ed è stata anche sindaco. Con un coautore ha pubblicato due testi intitolati “Chiacchiere filosofiche”, nei quali filosofi del passato (come Locke, Hobbes, Hume, Cartesio, Spinoza, Tommaso d’Aquino, per citarne alcuni) discutono di temi gnoseologici, etici e politici prendendo spunto da fatti di attualità. Un terzo volume è in preparazione.






LUDWIG WITTGENSTEIN

 


Ludwig Wittgenstein è stato uno dei pensatori più influenti del XX secolo, autore di contributi fondamentali per la logica e la filosofia del linguaggio. Nasce a Vienna nel 1889, stesso anno di un altro grande filosofo del Novecento, Martin Heidegger, (nonché a pochi giorni di distanza da Adolf Hitler). Il padre, ricco magnate dell’industria siderurgica, aveva previsto per lui e per i fratelli un percorso di studi privato, ma a quattordici anni Ludwig viene iscritto alle scuole pubbliche ed inizia uno percorso ad indirizzo tecnico, si iscrive poi alla facoltà di ingegneria ma non la conclude. Grazie ai suggerimenti e agli appoggi di alcuni amici, si trasferisce a Cambridge dove può coltivare il suo profondo interesse per la matematica con l’aiuto del filosofo e matematico Bertrand Russell. La sua inquietudine lo porta ad abbandonare l’Inghilterra per alcuni anni e a trasferirsi in Norvegia fino allo scoppio della prima guerra mondiale, quando si arruola volontario nell’esercito asburgico. Catturato, durante i mesi di prigionia termina il Tractatus logico-philosophicus. Dopo l’esperienza bellica, si dedica per qualche tempo all’insegnamento elementare e all’attività di giardiniere, fino a quando, sempre per l’insistenza di amici, nel 1936 accetta la cattedra di filosofia a Cambridge, dove insegnerà per dieci anni. Dopo un soggiorno in Irlanda, durante il quale continua i lavori per l’altra sua grande opera, le Ricerche filosofiche,  torna in Inghilterra e scopre di avere un tumore di cui muore nel 1951. Un istante prima di perdere conoscenza, sussurrò ai presenti: "Dite a tutti che ho avuto una vita meravigliosa”.



Se Ludwig Wittgenstein oggi fosse qui:



Metterebbe la mascherina? Se sì, la metterebbe per proteggere se stesso o gli altri?

  • Credo che la miglior forma di protezione per tutti sia quell’allontanamento che anch’io ho sperimentato in alcune occasioni della mia vita, quando mi sono rifugiato nei paesi nordici per dedicarmi interamente alle mie ricerche filosofiche. Ciò nonostante, se fosse indispensabile, non avrei problemi ad indossarla.


Scaricherebbe l’app Immuni? Accetterebbe un controllo sugli spostamenti degli individui? Baratterebbe la sua libertà per una forma di sicurezza?
  • Non credo che la libertà si possa ridurre alla possibilità di muoversi senza essere controllati. Quando nel 1938 Hitler, mio vecchio compagno di scuola, ha invaso l’Austria, pur non essendo in patria mi sono trovato assoggettato alle Leggi di Norimberga poiché tre dei miei nonni erano nati ebrei. In quel momento ho veramente capito cosa poteva significare perdere la libertà e quali minacce si addensassero sulla mia famiglia; a dispetto della denominazione (Legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco), in quei provvedimenti non c’era nulla di veramente “protettivo”, ma solo le premesse per il futuro olocausto. L’app Immuni, della quale comunque conosco poco, vuole essere uno strumento per arginare rapidamente la diffusione del contagio da Covid-19, per rendere più agevole il contact tracing, non mi sembra quindi un grosso limite alla libertà personale. Se pensiamo poi con quanta poca consapevolezza accettiamo cookie ogniqualvolta che ci connettiamo alla rete, Immuni mi sembra l’ultimo dei problemi. Come già detto, tuttavia, credo che il distanziamento sociale rappresenti la tutela più efficace, ma, si sa, io sono un tipo originale… arrivo addirittura a brandire attizzatoi contro colleghi durante conferenze pubbliche.


Si sarebbe sentito disorientato in questo momento? In cosa avrebbe sperato per il futuro? Cosa ci direbbe? Cosa farebbe?

  • Una pandemia che colpisce così duramente non può non sollevare domande sul senso e, di conseguenza, su ciò che ha valore, su ciò che è giusto, su come è bene agire.  Questi temi, tuttavia, restano enigmi e per essi non c’è forma linguistica sensata perché non si occupano di fatti, non descrivono avvenimenti, devono quindi restare confinati nell’interiorità.  Se l’etica non è dicibile, non significa però che essa non sia vivibile; quando il senso è stato intuito, quando abbiamo sentito cosa è giusto, possiamo agire e cercare di praticare l’etica di cui non si può parlare. Allo scoppio della prima guerra mondiale ho dato prova di questa mia convinzione ed ho deciso di arruolarmi per combattere con il mio paese, l’Austria, perché ho sentito che quello era il mio dovere (tra l’altro, sono stato catturato dagli avversari ed ho anche trascorso un periodo di prigionia in Italia durante la quale ho completato il mio Tractatus). Allo stesso modo, adesso, se ne avessi la possibilità, mi impegnerei in attività di volontariato per dare una mano negli ambiti in cui ce ne fosse bisogno. Credo che questo agire solidaristico, che è poi il messaggio contenuto nella Ginestra del vostro Leopardi, possa rispondere meglio della scienza alle inquietudini esistenziali. Non nego il valore pragmatico della scienza (la cura per il Covid arriverà dalla ricerca scientifica), ma essa lascia i problemi esistenziali irrisolti anche quando tenta di dominare la realtà con i suoi schemi. Io che sono un filosofo, a differenza di alcuni colleghi, non nego affatto valore a ciò che non è scienza (al massimo, dico in base a quali condizioni un discorso è scientifico), al contrario ritengo che anche una volta che avremo risposto a tutte le domande scientifiche, i nostri problemi vitali non saranno neppure stati toccati.


Cosa definirebbe scuola? Accetterebbe la didattica a distanza?

  • Certo che la accetterei! E non perché, come mi si accusa, non sono empatico (anche se talvolta prendo volentieri le distanze, come avete capito), ma perché sono favorevole alle innovazioni in ambito didattico e credo che le tecnologie possano favorire diversi tipi di apprendimento soprattutto se accompagnate da un attento uso del linguaggio che può combattere l’incantamento, l’irrigidimento del nostro intelletto.


E tu Sabrina, cosa pensi di quello che sta succedendo? Quale pensiero ci regali oggi?

  • In tutto questo chiasso, fatto di chiacchiere e superficialità, di strumentalizzazioni e mancanza di buonsenso, credo che l’atteggiamento più corretto sarebbe il silenzio. Provo quasi un senso di nausea quando leggo e ascolto i commenti sulla situazione che stiamo vivendo da ormai sei mesi, perché questi commenti sono davvero lo specchio di quello che stiamo diventando. Incapaci di ammettere i nostri limiti, desiderosi di ritagliarci un attimo di notorietà, aggressivi e presuntuosi. Vorrei sentire poche voci, di chi ha osservato a lungo, raccolto dati e ragionato sugli stessi, e vorrei che ogni discorso sul virus iniziasse con una premessa che segnala che quel che si sta per dire non è la verità, ma solo il livello di conoscenza raggiunto fino a questo momento, pertanto, anche i provvedimenti adottati sono adeguati a quanto si sa fino ad ora. Mi piacerebbe una solidarietà costante tra le persone, fatta innanzitutto di quel rispetto che si mostra seguendo le elementari misure di protezione, che non saranno perfette, ma sono le sole che abbiamo adesso.




venerdì 31 luglio 2020

Intervista con la storia: Sara Orelli e Sir Isaac Newton

INTERVISTA CON LA STORIA 9


Il progetto è nato per sensibilizzare e raccontare il periodo di pandemia mondiale che stiamo vivendo.  Chiederemo aiuto a personaggi illustri del passato, a quelle donne e a quegli uomini che hanno fatto la storia.  Ascoltare la loro voce ci permetterà di riflettere e forse ci  aiuterà ad affrontare questo periodo con maggior consapevolezza e saggezza. Sarà la persona intervistata a scegliere il suo ‘mentore’ e a farci ascoltare la sua voce, dopo aver passato almeno una settimana insieme a lei/lui attraverso letture, visioni di video, ricerche. I mentori potranno avere pareri discordanti, addirittura opposti, non siamo qui per giudicarli ma per ascoltare la loro voce, per capire cosa ci direbbero se fossero qui, ora, con noi. Oggi abbiamo con noi Sara Orelli e il suo mentore Sir Isaac Newton.




SARA ORELLI 




Sara Orelli è cresciuta tra le colline, precisamente a Nibbiano, un grazioso paesino di campagna nella selvaggia Alta Val Tidone, dove tuttora risiede durante i mesi estivi. Si è laureata in matematica agli inizi degli anni '90 all’Università di Pavia e da allora ha lavorato come docente in varie scuole superiori della provincia di Piacenza e di Parma. Da alcuni anni insegna al liceo scientifico “Alessandro Volta” di Castel San Giovanni, dove lei stessa ha studiato. Collabora inoltre con la Facoltà di Ingegneria dell'Università di Parma, dove svolge le esercitazioni per il corso di Analisi 1. Ama la sua professione e mette grande passione in ciò che fa;  per questo odia la burocratizzazione che ha inutilmente appesantito la scuola negli ultimi anni. Appassionata lettrice fin da adolescente, ama il teatro, il cinema e, soprattutto, viaggiare.



SIR ISAAC NEWTON




Sir Isaac Newton nacque il 25 dicembre del 1642 nel Lincolnshire in una famiglia di piccoli proprietari terrieri. È considerato uno dei più grandi fisici di tutti i tempi, ma fu anche matematico (è uno dei padri del calcolo infinitesimale), filosofo naturale, astronomo, teologo storico, alchimista. Risultarono  fondamentali, per i contemporanei e i posteri, i suoi contributi alla meccanica classica e allo sviluppo degli studi sulla natura della luce. Fin da adolescente costruiva meridiane, clessidre ad acqua e modelli funzionanti di mulini. Alla fine del 1658 fu costretto dalla famiglia ad abbandonare gli studi, ma si rivelò un pessimo agricoltore. Si trasferì a Cambridge nel 1661,  grazie al suo  maestro che convinse la madre a fargli proseguire gli studi al Trinity College.  Terminata l’università visse un periodo di auto isolamento nella sua casa in campagna (a causa della peste) dove elaborò alcune delle sue rivoluzionarie teorie. Aveva un grande spirito di osservazione ed era capace di  trarre ispirazione da eventi quotidiani: si racconta che un giorno, mentre stava seduto sotto una pianta,  una mela gli cadde in testa; questo episodio lo portò a pensare alla gravitazione e a riflettere sul perché la Luna non cadesse sulla Terra. Caratterialmente era un uomo particolarmente scorbutico, di poche parole:  pare che abbia riso una sola volta nella sua vita (quando uno studente gli chiese se valesse la pena studiare gli Elementi di Euclide). Era paranoico, litigioso (sono famosi i suoi diverbi con Leibniz), solitario ed asociale (forse soggetto a qualche forma di autismo). Pubblicò molto tardi i suoi scritti scientifici, pare infatti che avesse convinzioni molto vicine al pitagorismo e che, quindi, considerasse il sapere come bene da condividere tra pochi eletti. Morì all'età di 84 anni e fu sepolto con grandi onori  nell'abbazia di Westminster. Per lui Pope scrisse un famoso poemetto che inizia così: "la natura e le leggi della natura giacevano nascoste nella notte; Dio disse: che Newton sia!… e luce fu”.







Se Sir Isaac Newton oggi fosse qui:

  1. Metterebbe la mascherina? Se sì, la metterebbe per proteggere sé stesso o gli altri?

No, la mascherina non la metterei, devono metterla gli altri, per tutelarmi! Il distanziamento sociale l’ho mantenuto già nel 1666 quando a Londra scoppiò l’epidemia della peste e io mi ritirai nella mia casa in campagna a Woolsthorpe. Per me, quella, fu un’occasione per riflettere, formulare nuove ipotesi, verificarle con numerosi esperimenti ed elaborare nuove teorie. Il mio auto isolamento divenne una risorsa per l’umanità, feci importantissime scoperte scientifiche. Avete mai sentito parlare della teoria gravitazionale, quella su cui si basa la fisica classica?



  1. Scaricherebbe l’app Immuni? Accetterebbe un controllo sugli spostamenti degli individui? Baratterebbe la sua libertà per una forma di sicurezza?

Non ci penso proprio! Prima di tutto non l’ho fatta io, quindi ho dei seri dubbi sulla sua validità. La mia libertà di pensiero e di spostamento sono indiscutibili, non possono essere barattate con nulla.



  1. Si sarebbe sentito disorientato in questo momento? In cosa avrebbe sperato per il futuro? Cosa ci direbbe? Cosa farebbe?

No, non mi sentirei disorientato. Prenderei atto di una realtà differente e la vedrei come una opportunità di miglioramento personale e sociale. La mia storia ha dimostrato che il 1666 (l’anno della bestia), quello che era atteso come l’annus horribilis divenne l’annus mirabilis, l’anno delle meraviglie… grazie a me!



  1. Cosa definirebbe scuola? Accetterebbe la didattica a distanza?

Non sono a favore della didattica a distanza, se avessi dovuto farla mi sarei rifiutato perché la considero tempo sprecato in quanto la scienza necessita di sperimentazione inoltre non è possibile ‘insegnare’ senza instaurare una relazione personale. Invece di perdere energie con queste cose, fate come me! Durante il periodo di chiusura dell’Università di Londra ho elaborato una teoria che ha cambiato la storia della fisica. Il tempo dedicato all’osservazione e alla riflessione è prezioso ed indispensabile per il metodo scientifico, altro che didattica a distanza! Lo ripeto: la scienza si basa sulla sperimentazione altrimenti non è scienza.




  1. E tu Sara, cosa pensi di quello che sta succedendo? Quale pensiero ci regali oggi?

Il periodo di lockdown ha evidenziato, ancora una volta, che abbiamo una scarsa cultura scientifica. Pretendiamo da medici e ricercatori risposte certe ed immediate ma non ci ricordiamo che la medicina è una scienza statistica, ne consegue che la sperimentazione deve essere fatta su grandi numeri e quindi necessita di tempo. Anche un certo tipo di divulgazione televisiva ci ha fuorviato, facendoci dimenticare che il dibattito tra ricercatori caratterizza da sempre la comunità scientifica. Partire da punti di vista differenti è la normale prassi di fronte a situazioni nuove come quella che stiamo vivendo, in cui non ci sono certezze, ma questo non deve essere vissuto come un limite ma come una possibilità. La scienza propone modelli di interpretazione della realtà, modificabili negli anni, non è dogmatica. Per quanto riguarda, invece, la mia esperienza di insegnante, negli ultimi mesi dello scorso anno scolastico mi sono trovata costretta a fare didattica a distanza. La considero una misura di emergenza ma non deve diventare in alcun modo una prassi di insegnamento. Il digitale è accettabile come mezzo ma mai come fine, non dimentichiamocelo.

lunedì 20 luglio 2020

Intervista con la storia: Simona Abbafati e Oriana Fallaci

INTERVISTA CON LA STORIA 8

Il progetto è nato per sensibilizzare e raccontare il periodo di pandemia mondiale che stiamo vivendo.  Chiederemo aiuto a personaggi illustri del passato, a quelle donne e a quegli uomini che hanno fatto la storia.  Ascoltare la loro voce ci permetterà di riflettere e forse ci  aiuterà ad affrontare questo periodo con maggior consapevolezza e saggezza. Sarà la persona intervistata a scegliere il suo ‘mentore’ e a farci ascoltare la sua voce, dopo aver passato almeno una settimana insieme a lei/lui attraverso letture, visioni di video, ricerche. I mentori potranno avere pareri discordanti, addirittura opposti, non siamo qui per giudicarli ma per ascoltare la loro voce, per capire cosa ci direbbero se fossero qui, ora, con noi. Oggi abbiamo con noi Simona Abbafati e la sua mentore Oriana Fallaci.


SIMONA ABBAFATI


Simona nasce a Velletri, nel cuore dei Castelli Romani nel 1986. I suoi forti legami familiari rappresentano, sin dall'infanzia, il terreno fertile di uno sviluppo emotivo caratterizzato da genuinità e sensibilità. Si laurea dapprima in Scienze politiche e successivamente in Analisi economica, conservando sempre un'ottica eclettica ed uno slancio verso il mondo che vorrebbe trasformare in qualche modo. Alla grande città preferisce la tranquillità del piccolo paese e così, dopo aver vissuto a Roma durante il periodo universitario, decide di tornare nella sua Lariano, immersa nella natura. È insegnante di Economia aziendale, un lavoro che ha scelto e le consente di sprigionare le sue innate capacità empatiche e la sua inclinazione verso gli altri. Quando non è con i ragazzi si dedica alle sue grandi passioni: l'arte, il cinema, la poesia, la lettura, la scrittura, lo studio. Ama gli animali, fare escursioni in montagna, passeggiate in vicinanza del mare e viaggiare andando sempre alla ricerca di posti, volti, situazioni e atmosfere nuove e particolari. Ciò che non la abbandona mai durante il suo percorso è la voglia di migliorarsi e di affermare la sua identità. Ci siamo conosciute dopo che lei ha letto ‘Un anno e un giorno’ e mi ha scritto una e-mail commovente.



ORIANA FALLACI

Scrittrice di fama mondiale, con i suoi dodici libri ha venduto circa venti milioni di copie in tutto il mondo. Diretta, sincera, coraggiosa, Oriana è la prima di quattro sorelle. Il padre Edoardo fu un attivo antifascista che coinvolse la figlia, giovanissima, nella resistenza (faceva la staffetta). La giovane Oriana si unì alle Brigate Giustizia e Libertà, formazioni partigiane, vivendo in prima persona i drammi della guerra.Dopo aver conseguito la maturità al liceo classico, si iscrisse alla facoltà di Medicina, poi passò alla facoltà di Lettere ma abbandonò anche questa per dedicarsi al giornalismo e divenne reporter di guerra (famosi sono i suoi resoconti e le sue interviste ai maggiori leader politici fatti con schiettezza e intelligenza). Il 22 agosto 1973 conobbe Alesandros Panagulis, un leader dell'opposizione greca al regime dei Colonnelli. Si incontrarono il giorno in cui lui uscì dal carcere e non si lasceranno più fino alla morte di lui, avvenuta in un misterioso incidente stradale il 1º maggio 1976. Durante gli ultimi anni di vita, vissuti a New York, prese delle posizioni nette contro l’Islam, in seguito agli attentati dell’11 settembre e visse una vita ritirata, concentrata sulla scrittura.




Se Oriana Fallaci oggi fosse qui:



  1. Metterebbe la mascherina?
No, non metterei la mascherina per il semplice fatto che non ne avrei bisogno. So tenermi a debita distanza dai miei simili. Sono una donna asociale che ha vissuto spesso lunghi periodi di esilio insieme ai suoi bambini di carta e che agli eventi mondani preferisce un campo di concentramento nazista. Quindi le occasioni di contatto con altre persone sarebbero pressoché inesistenti. Vero è, però, che se avessi la necessità di viaggiare come inviata ai tempi del Covid, non mi ribellerei. Sarebbe stupido rinunciare ad un'intervista importante per il fatto di non voler indossare una mascherina. Insomma, ho indossato il chador per intervistare Khomeini e la mascherina è un indumento che quantomeno ha un'utilità: serve ad evitare che soggetti deboli finiscano i loro giorni con un tubo di ossigeno in ogni narice come accadde a mia madre.



  1. Scaricherebbe l’app Immuni? Accetterebbe un controllo sugli spostamenti degli individui? Starebbe a distanza dai propri simili? Baratterebbe la sua libertà per una forma di sicurezza?
Io sono nata sotto una tirannia ma ebbi la fortuna di nascere in una famiglia antifascista. Sono stata educata nel culto della libertà, ho imparato da bambina ad amare coloro che la difendono e a odiare coloro che la opprimono. Mai ho scritto un libro, un reportage o una lecture che non avesse toccato il tema della libertà. Ho sempre cercato la libertà individuale anche nei rapporti personali. Spesso il mio culto della libertà è stato frainteso (visto che per libertà non intendo caos e licenza e come dicevo sempre ad Alekos, la libertà è un dovere prima che un diritto). Trovo infatti che il lato più tragico della condizione umana sia quello di aver bisogno di un'autorità che governi, di un capo. La mia idea di libertà fa riferimento ad un concetto alto. Un qualcosa di sacro, di superiore, un utopistico stato in cui il cittadino si governa da sé senza offendere gli altri, senza uccidere. Capisco che la libertà così intesa non esiste. Nei suoi Pensieri Lacordaire definisce la libertà individuale come "il diritto di fare ciò che non danneggia gli altri". Ed è giusto. Però resta il fatto che l'esercizio della propria libertà finisce sempre o quasi sempre col danneggiare o limitare quella degli altri. La libertà vera, pura, esiste soltanto nel sogno. La libertà è un sogno. Però guai a non rincorrerlo, guai a stancarsene, a rinunciarvi pensando che è vano inseguire ciò che non esiste. Senza questo sogno perfino l'intelligenza si estingue e la capacità di creare, di distinguere il buono dal cattivo , il bello dal brutto. Il più bel momento di dignità umana per me resta quello che vidi su una collina del Peloponneso insieme ad Alekos, era l'estate del 1973, Papadopoulos era ancora al potere. Non si trattava di un simulacro e nemmeno di una bandiera, ma di tre lettere, OXI, che in greco significano NO. Uomini assetati di libertà le avevano scritte tra gli alberi durante l'occupazione nazi-fascista e, per trent'anni, quel no era rimasto li senza sbiadirsi alla pioggia ed al sole. Poi i colonnelli lo avevano fatto cancellare. Ma quelle lettere riaffiorarono testarde, disperate, indelebili.
Quindi, tornando alla domanda, NO. Non permetterei mai a niente e a nessuno di controllare i miei spostamenti, né di minacciare, seppur minimamente, la mia libertà. Certo, i vostri sono tempi diversi, voi siete ormai abituati ad essere controllati nella vostra quotidianità e capisco che un controllo in più non faccia differenza. Ma io trovo tutto questo un'offesa alla natura umana. Dovremmo essere capaci di tutelarci da soli, dovremmo essere capaci di usare buon senso, di auto-determinarci, almeno in questo.


  1. Si sarebbe sentita disorientata in questo momento? In cosa avrebbe sperato per il futuro? Cosa ci direbbe? Cosa farebbe?
Molto probabilmente se fossi ancora viva in questo momento me ne starei in esilio a scrivere e molto distante da tutti, indipendentemente dalla minaccia del virus. Non credo mi sentirei disorientata. Una donna come me, scrittrice, giornalista che è andata in guerra ormai non si sorprenderebbe e non si disorienterebbe praticamente di fronte a nulla. Parlo così facendo riferimento alla me vecchia e malata di cancro che vuole solo passare gli ultimi anni della sua vita a scrivere e ad osservare da lontano.
Facendo riferimento alla me giovane, probabilmente sarei in prima linea, con o senza mascherina, a raccontare le implicazioni che la lotta a questo mostro invisibile comporta. Sottolineerei le ripercussioni negative e positive che la cosa ha sull'essere umano, la sua socialità, il suo essere animale politico.
Elogerei l'operato dei medici, degli infermieri, dei lavoratori, eroi di una strana guerra. Criticherei senza pietà la politica dei politicanti che mostra in questi casi di difficoltà tutta la sua bassezza e la sua inutilità. Vi direi di svegliarvi, di rendervi conto di quanto siete fragili e continuamente sotto minaccia se non riuscite a sfruttare con raziocinio la potenza e l'intelligenza che è intrinseca nella natura umana.


  1. Cosa definirebbe scuola? Accetterebbe la didattica a distanza?
Dopo essere stata rincretinita dalla scuola fascista che è il primo nemico della cultura, mi svegliai con la Resistenza, a quel tempo il più grosso fatto culturale della nostra storia dopo il Risorgimento. In quel nobile periodo tuttavia non avevo letto nulla fuorché i manifestini che attaccavo sui muri e il "Non Mollare" affidatomi dai compagni. Quando Firenze fu libera immaginate con quanta arsura bevvi dal calice che mi era stato proibito. Studiai all'istituto magistrale fino al giorno in cui passai al Ginnasio, era il 1945. Mi piaceva la scuola e studiavo con diligenza, anche se tendevo ad abbandonare Erodoto e le equazioni per agguantare gli scritti di Carlo Rosselli e le opere di Gramsci. A scuola ero gaia, polemica, disubbidiente, civetta. Facevo arrabbiare i professori con la mia petulanza. Il fatto è che non leggevo e basta, partecipavo. Organizzavo scioperi ad esempio. Illusa da sogni impossibili volevo rifare il mondo e me la prendevo con i professori. A scuola potevo esprimere la mia ribellione.
Quindi ecco cosa è per me scuola: il luogo dove il ragazzo si confronta per la prima volta con l'altro e con il gruppo diverso dalla famiglia. Il luogo dove può aprire la mente ed esprimere le proprie idee nel concreto; il luogo dove inizia a comprendere cosa è la società e il luogo dove si va formando la sua coscienza politica. È, inoltre, il primo luogo dove impara a scontrarsi con l'autorità.
Alla luce di tutto questo, non potrei accettare la didattica a distanza. Con essa la scuola si ridurrebbe a mera nozionistica e la scuola non è questo.



  1. E tu Simona, cosa pensi di quello che sta succedendo? Quale pensiero ci regali oggi?
Non sto vivendo bene questo strano periodo. Sono tra quelle persone che non hanno gridato entusiaste fuori dai balconi "andrà tutto bene" e non dimenticherò mai il corteo silenzioso dei camion dell'esercito per portare le bare fuori regione, a Bergamo. Non dimenticherò mai l'ansia del bollettino serale della protezione civile.  Forse per un attimo ci ho anche creduto che potesse andare tutto bene, erano i primi giorni di lockdown ed ero contenta di stare a casa con i miei libri, i miei pennelli, la mia gatta e i miei cari. Ho creduto che uniti per sconfiggere un male comune, potessimo imparare a vivere meglio, potessimo riuscire a modificare le brutture che affliggono la società odierna. Ho creduto nella forza e nella bellezza dell'essere umano. Ma ben presto mi sono resa conto che questa situazione  altro non è che lo specchio dei tempi che stiamo vivendo. Come in qualsiasi altra situazione di difficoltà sono venute fuori le contraddizioni della natura umana. L'imbruttimento che ci perseguita ormai da anni, la bassezza della politica, degli sciacalli che urlano, ci offendono nel profondo e insultano la nostra intelligenza dai loro profili social. Abbiamo visto quanto può essere meschino l'essere umano quando, superficialmente, non rispetta se stesso e i propri simili nel momento in cui banalmente non indossa una mascherina, non rispetta una distanza. Ma abbiamo visto anche il coraggio e la dignità negli occhi dei medici, degli infermieri, dei lavoratori, di tutte quelle persone che si sono fatte forza, che hanno aiutato, anche nel loro piccolo, e che combattono silenziosamente ogni giorno la lotta contro l'imbruttimento della natura umana. Mi voglio aggrappare a questa bellezza chiudendo con un pensiero positivo, con un ottimismo diverso da quello inconsapevole che usciva dagli arcobaleni sui balconi dei mesi scorsi, un ottimismo consapevole: non andrà tutto bene ma ce la faremo. Torneremo a respirare.

mercoledì 15 luglio 2020

Intervista con la storia: Xena Zupanic e Carmelo Bene


INTERVISTA CON LA STORIA 7

Il progetto è nato per sensibilizzare e raccontare il periodo di pandemia mondiale che stiamo vivendo.  Chiederemo aiuto a personaggi illustri del passato, a quelle donne e a quegli uomini che hanno fatto la storia.  Ascoltare la loro voce ci permetterà di riflettere e forse ci  aiuterà ad affrontare questo periodo con maggior consapevolezza e saggezza. Sarà la persona intervistata a scegliere il suo ‘mentore’ e a farci ascoltare la sua voce, dopo aver passato almeno una settimana insieme a lei/lui attraverso letture, visioni di video, ricerche. I mentori potranno avere pareri discordanti, addirittura opposti, non siamo qui per giudicarli ma per ascoltare la loro voce, per capire cosa ci direbbero se fossero qui, ora, con noi. Oggi abbiamo con noi Xena Zupanic e il suo mentore Carmelo Bene.


Sul Monte Carmelo incontrai il mio Bene. Mi arrampicai di nascosto, sotto il manto della notte. La Luna traditrice fu assente, la sua lucentezza argentea estinta.
Ma il mio volto ardeva e l’intero monte splendeva.
“È il sole di mezzanotte”, pensai.
Bene, bene, è il mio Kairos, il mio luogo per sempre.



XENA ZUPANIC


Xena Zupanic è nata in Croazia; attrice, conduttrice, interprete e modella, Xena si è laureata in Filosofia e Storia dell’Arte all’Università di Zara e diplomata all’Accademia d’arte drammatica di Zagabria. Ha frequentato la scuola superiore di cinema e televisione di Zagabria e la scuola di recitazione “Quelli di Grock” di Milano. Ha avuto la fortuna di conoscere e lavorare con Carmelo Bene. Come lei stessa dice: “Il tremendo Carmelo vedeva l’incarnazione della Beatrice dantesca in me. Beatrice non era una slavata, dolciastra, preraffaelitica ombra femminile, ma valchiria germanica, guida potente dei mondi oltremondani”. Musa di molti artisti, Xena vede nel teatro qualcosa di simile al rituale, vedendo un suo spettacolo si cade in un sogno, che da qualcuno potrebbe essere anche definito un incubo. Molti la conoscono per la sua partecipazione al programma Markette di Chiambretti. Ha recentemente realizzato un’importante opera di videoarte al museo Madre di Napoli dal titolo Mystica. Sofisticata, eccentrica e profondissima, Xena ha una figlia Persefone, fotografa, due nipoti (gemelli) ed uno degli esseri umani più belli che io conosca (sia dentro che fuori).



CARMELO BENE


Carmelo Bene è considerato uno dei più grandi artisti del teatro del '900. Completo, poliedrico e contro corrente: capace di scatenare reazioni contrastanti, sia in platea, che nelle file della critica. Fu una personalità ribelle: compì studi classici dai Gesuiti di Mondragone, che lo cacciarono per indisciplina, poi studiò giurisprudenza e frequentò i corsi dell'Accademia nazionale d'Arte drammatica, che però lasciò dopo un anno solo, denunciandone l'inutilità. 
Il debutto a teatro avvenne nel 1959 con "Caligola". Successivamente vennero le produzioni nel doppio ruolo di attore e regista -"Majakovskij", "Edoardo II" di Marlowe, "Amleto", "Pinocchio" - poi gli spettacoli-cabaret estremi. È datata 1967 la sua prima volta accanto a Pier Paolo Pasolini (l'opera era "L'Edipo re"), mentre nello stesso anno Bene iniziò la sua esperienza di regista cinematografico. Nel 1968 vinse il Leone d'Argento al Festival di Venezia con "Nostra Signora dei Turchi”. Ermetico, profondo, ambiguo non è certamente una delle persone più facili da ‘intervistare’, con la sua dialettica provocatoria, arguta e irriverente ci mette a disagio ma per aiutarci a scavare nella nostra anima e per insegnarci a guadare oltre.




Se Carmelo Bene oggi fosse qui:


  1. Metterebbe la mascherina? Se sì, la metterebbe per proteggere sé stesso o per proteggere gli altri?
  • Ci risiamo! “Le mascherine”, “la protezione”, “gli altri”! Senza mai annusare, toccare veramente l’Altro!  Proteggersi da chi, da che cosa, da sé stessi o da questo nuovo dio-virus incolore, bramoso di ni-ente, senza odore, senza una legittimazione metafisica? Questa è una brutta mascherata, con i sapienti illuminati che favellano in maschera con il venditore supremo delle mascherine, il contabile insonne con la faccia di Elon Musk (the countdown’s dealer behind the metaphysical desk). Un dio eccelso, un finocchione stratificato, un imbroglione etilico vestito di rosa, un dio d-day, con le scadenze settimanali. In poche parole: do ut des, pro domo sua et in medias res. Che Dio mi scampi! 


  1. Scaricherebbe l’app Immuni? Accetterebbe un controllo sugli spostamenti degli individui? Starebbe a distanza dai propri simili? Baratterebbe la sua libertà per una forma di sicurezza?
  • Well, these Orwellian questions from 80’s are by now outmoded.  Nel baratro farei un umile baratto tra questi concetti altissimi, oramai cenciosi, spolpati dalla loro soma reale, i concetti che vanno a nozze con i somari contemporanei. Di nuovo casca l’asino, il santo non vola, le App appollaiate le hanno sostituite con una sinusoide, irreale, quasi trascendentale. La libertà, proprio lei, la nobile dama, la baratterei per una app, impennata come un albero cosmico, verso la volta celeste. Lo scavalcherei, senza voltarmi, mentre i cortigiani della libertà, oh, incessantemente vanno implorando: scendi, scendi, la libertà è di tutti. Poveri scorregioni, il Dioniso priapico, non necessita di liberare il vostro altare vuoto. 


  1. Si sarebbe sentito disorientato in questo momento? In cosa avrebbe sperato per il futuro? Cosa ci direbbe? Cosa farebbe?
  • Piuttosto mi sentirei “Bis-orientato”, due volte di più centrato. La speranza la lascerei ai cristiani ed il futuro ai futuristi, perlopiù ai capitalisti convinti, ai capitalisti d’un immortale F.T.M (Fiat Torino Macina).  Cosa direbbe? Ebbe! Cosa farebbe? Ebbe! Ebbe, ebbe, bis-orientato, scisso in me, come il dio Giano, come l’“Epitaffio per Francois” di Paul Celan:  “L’una e l’altra porta / del mondo, aperte: / aperta l’una e l’altra / da te, nella notte bifronte / Le udiamo sbattere e sbattere, / noi portiamo l’indefinito, / portiamo quel Verde nel tuo Eterno”.


  1. Cosa definirebbe scuola? Accetterebbe la didattica a distanza? E lo smart-working?
  • La scuola e lo smart working: il taylorismo digitale. Gli scolari e gli impiegati bue che servono il principio “One Best Way” (l’unico miglior metodo possibile). Sono dei pappagalli ordinari che sognano i mondi esotici, sono dei soggetti mai visitati, i ragionieri del Kronos malleabile. Mai come adesso la scuola ha bisogno di un sottosuolo, di una discesa nell’Ade. Per pochi capiterà Kairos (l’occasione della loro vita), in tanti, ahimè, cos’è Aion non lo sapranno mai. La discesa nell’Ade, palmo per palmo, dito per dito. Un palmare digitale? Un palmare digitale difettoso. Volano gli asini (digitali), senza i santi e il sud del sud trasuda le gocce sanguinanti virtuali, a scuola addomesticate. Inutile è venire, inutile è dire: “son venuto perché quelli che non vedono vedano, e quelli che vedono non vedano più”.



  1. E tu Xena, cosa pensi di quello che sta succedendo? Quale pensiero ci regali oggi?
  • Mi chiedo come possiamo portare una pura, distillata e invisibile insidia, questo metafisico convitato di pietra, dalla condizione gassosa, incolore e senza odore in una visibile, solidificata icona, che ci guarda severamente lungo il perimetro dei nostri spostamenti. Questa è la sfida, il nostro compito invano: trovare il polso dell’invisibile, tramutando il suo suono in una immagine.  




lunedì 6 luglio 2020

Intervista con la storia: Tiziano Thomas Dossena e Emilio Giuseppe Dossena

INTERVISTA CON LA STORIA 6

Il progetto è nato per sensibilizzare e raccontare il periodo di pandemia mondiale che stiamo vivendo.  Chiederemo aiuto a personaggi illustri del passato, a quelle donne e a quegli uomini che hanno fatto la storia.  Ascoltare la loro voce ci permetterà di riflettere e forse ci  aiuterà ad affrontare questo periodo con maggior consapevolezza e saggezza. Sarà la persona intervistata a scegliere il suo ‘mentore’ e a farci ascoltare la sua voce, dopo aver passato almeno una settimana insieme a lei/lui attraverso letture, visioni di video, ricerche. I mentori potranno avere pareri discordanti, addirittura opposti, non siamo qui per giudicarli ma per ascoltare la loro voce, per capire cosa ci direbbero se fossero qui, ora, con noi. Oggi abbiamo con noi Tiziano Thomas Dossena e il suo mentore Emilio Giuseppe Dossena.



TIZIANO THOMAS DOSSENA 


Tiziano Thomas Dossena è nato a Milano dove ha vissuto per i primi sedici anni della sua vita. Emigrato con i genitori in America, ha completato il liceo e conseguito tre lauree prima di ritornare in Italia nel 1978, a studiare medicina. Per alcuni anni ha diretto un’azienda di esportazioni di materiale medico sanitario ma, alla morte del padre, è tornato negli USA, dove ha conseguito altre due lauree e ha iniziato a dirigere la rivista L’Idea Magazine, attività che porta avanti da oltre trent’anni. Tiziano ha anche fondato le riviste OperaMyLove e OperaAmorMio e ha vinto molti premi letterari, sia come giornalista sia come poeta. Ama l’Italia e per questo cerca di far conoscere le attività degli italiani all’estero: scrivendo articoli, pubblicando libri (è il direttore editoriale della casa editrice Idea Press) e gestendo un network nel quale gli italoamericani possano fiorire. Tiziano ha scelto come mentore il padre perché fu proprio lui a spingerlo a scrivere e ad amare l’arte in generale, oltre ad offrirgli un esempio essenziale su come l’essere umano debba comportarsi in una società. 

EMILIO GIUSEPPE DOSSENA

Emilio Giuseppe Dossena è nato a Cavenago d’Adda (ai tempi nella provincia di Milano e ora in quella di Lodi) nel 1903. Dopo essersi laureato all’Accademia di Brera si appassiona a diverse forme di espressione artistica. È conosciuto non solo per i suoi quadri ma anche per le sue decorazioni (Villa Necchi, Villa Invernizzi, il Circolo dei Dadi, la Terrazza Martini, ecc.), per i suoi restauri (nel 1965-66 restaurò tutti gli affreschi del castello di Parrano, in Umbria) e le sue poesie. 
Nel 1968 si trasferì a New York, dove visse per otto anni, lavorando come restauratore per lo studio Berger (che serviva il Metropolitan Museum di New York e altri musei nazionali) ed esponendo le sue opere in varie gallerie statunitensi, con grande successo di vendita. Le opere del periodo newyorchese si distinguono per la vivida colorazione e per la tendenza  neo-espressionistica. Ritornò a Milano nel 1976 e l’Italia fece riemergere la sua vena neo-impressionista, ma con una colorazione legata all’esperienza americana. Negli ultimi anni di vita si dedicò anche alla scrittura di poesie.


Se Emilio Giuseppe Dossena oggi fosse qui:



  1. Metterebbe la mascherina? Se sì, la metterebbe per proteggere sé stesso o per proteggere gli altri?
  • Non ci sono dubbi che la mascherina sarebbe stata parte essenziale della mia nuova vita. Ho sempre tenuto conto delle necessità altrui prima di compiere qualsiasi azione. Proteggere gli altri è essenziale nella nostra vita, nella nostra società; non siamo esseri isolati e indipendenti e proprio per questo sentiamo un impulso di protezione verso gli altri, a volte anche a costo della nostra vita. In fondo, la mascherina non è un grande sacrificio…


  1. Scaricherebbe l’app Immuni? Accetterebbe un controllo sugli spostamenti degli individui? Starebbe a distanza dai propri simili? Baratterebbe la sua libertà per una forma di sicurezza?
  • Sono vissuto in tempi nei quali il computer era agli albori e il telefonino era un telefono ‘gigantesco'. Non so se avrei la pazienza di giocare con le app. Il controllo degli individui è una necessità dettata dalla situazione e io non posso negare l’efficacia dei risultati dell’utilizzo di Immuni ma, in gioventù, ho sempre combattuto contro qualsiasi forma di limitazione della libertà personale. Sono un artista, per me la libertà è la cosa più importante. Vorrei però specificare che c’è un po’ di confusione a proposito della percezione di ciò che è la libertà. Essere liberi non vuol dire far sempre ciò che si vuole. Ci sono sempre state delle restrizioni nella vita: a volte poste dalla natura, a volte dal sistema governativo locale. Servono per proteggerci da situazioni che possono farci del male. Non è niente di nuovo e lamentarci perché non possiamo andare di qui o di là non aiuta nessuno. Certo la situazione può diventare pesante, ma dobbiamo tenere sempre conto del bene comune.

  1. Si sarebbe sentito disorientato in questo momento? In cosa avrebbe sperato per il futuro? Cosa ci direbbe? Cosa farebbe?
  • Siamo tutti disorientati da questo virus che ha causato tanti morti, tanti problemi e degli immensi danni economici. Come potrei non essere disorientato se mi obbligassero a non vedere i miei figli e i miei nipoti? Oppure senza poter andare a dipingere un quadro in campagna? A tutto c’è una soluzione, però. Posso sempre dipingere una natura morta oppure scrivere una poesia…E poi adesso, con la tecnologia che abbiamo, ci si può vedere grazie ai telefonini e ai computer… Tutte queste paure mi ricordano i tempi della Spagnola, quando persi il mio fratellino, che morì proprio davanti a me… Anche allora furono tempi difficili per tutti. Orribili, direi. Il futuro non è altro che un presente differente, in continua evoluzione. Spero si riesca a trovare un vaccino e che la vita torni ad un ritmo normale. Niente di più. Mi auguro inoltre che tutti questi problemi non vengano politicizzati perché non si può far politica sulla vita delle persone. La politica non è filosofia, anche se si può basare su di essa, ma è azione legata a degli ideali comuni.


  1. Cosa definirebbe scuola? Accetterebbe la didattica a distanza?
  • Io sono un uomo semplice e definisco scuola il luogo nel quale posso apprendere ciò che è necessario per poter far parte, in modo costruttivo, della società. La didattica a distanza è molto interessante ma non è niente di nuovo anche se cercano di farla apparire così. In Australia, dove la popolazione è distribuita su ampie zone, usano da molti anni questo tipo di approccio: hanno iniziato con le radiotrasmittenti e poi con i computer, ottenendo ottimi risultati. Ci sono dei vantaggi: lo studente può rivedere la lezione più volte e così capirla meglio, ma anche degli svantaggi: il principale è la mancanza di contatto sociale sia con gli altri studenti sia con l’insegnante, è questo è un grosso limite da superare. C’è poi da considerare l’ambiente famigliare che non è uguale per tutti, quindi, a volte, questo approccio non è molto valido, bisogna ben valutare le situazioni. Lo smart-working funziona molto bene, chiedetelo pure a mio figlio che lo usa costantemente…



5. E tu Tiziano, cosa pensi di quello che sta succedendo? Quale pensiero ci regali oggi?
  • Vorrei poter filosofare a proposito della realtà che stiamo vivendo ma qui, negli Stati Uniti, stiamo soffrendo della insostenibile situazione politica che, sfortunatamente, lascia una grande impronta sulla sanità pubblica e sulla salute in generale. Con un presidente che ancor oggi si vanta di non usare la mascherina, organizza manifestazioni durante le quali le norme di sicurezza e di distanza non sono rispettate, si fa fatica a pensare che il prossimo futuro porti buone notizie. Io mi sono ammalato di Covid 19 a marzo. Sono stato fortunato più di altri e ne posso parlare ma la mia famiglia ha passato un periodo non proprio bello a causa di questo virus. Mi duole pensare che la gente sia così ignorante da credere che siccome c’è il sole il virus non c’è più e tutto ritorna come prima automaticamente. Vorrei avere più fiducia negli esseri umani ma sono deluso dall’atteggiamento di molti anche se, qui a New York, la gente si comporta abbastanza bene in riferimento alla mascherina e a tutto il resto. I disordini sociali legati alla violenza contro le minoranze hanno aggiunto altra confusione e, nonostante siano più che motivati, non sono veramente mirati ad un cambiamento sociale, ma portano a dividere ancor più la popolazione. Distruggere la statua di un generale confederato può anche essere simbolico, ma distruggere la statua di Cristoforo Colombo è solo una sfida alla comunità italo-amaericana che è sempre stata a fianco delle minoranze. Le azioni che dovrebbero portare a dei cambiamenti positivi irritano e inimicano altri gruppi etnici e non ottengono nulla di fatto. Perché parlo di questo in relazione al Covid 19? Perché  l’isolamento, la quarantena, la perdita del lavoro, a volte la perdita dei propri cari hanno lasciato una profonda ferita nella psiche delle minoranze e non, e i fatti di violenza che affiorano sono anche parte di questa tensione che, chiaramente, è nell’aria a lo sarà per molto. In un altro momento, la gente avrebbe reagito, sì, ma non in questo modo. Il virus ha anche questa responsabilità… sta portando ad una divisione sociale che non è né piacevole né costruttiva, specialmente con una classe politica che butta benzina sul fuoco…