lunedì 6 luglio 2020

Intervista con la storia: Tiziano Thomas Dossena e Emilio Giuseppe Dossena

INTERVISTA CON LA STORIA 6

Il progetto è nato per sensibilizzare e raccontare il periodo di pandemia mondiale che stiamo vivendo.  Chiederemo aiuto a personaggi illustri del passato, a quelle donne e a quegli uomini che hanno fatto la storia.  Ascoltare la loro voce ci permetterà di riflettere e forse ci  aiuterà ad affrontare questo periodo con maggior consapevolezza e saggezza. Sarà la persona intervistata a scegliere il suo ‘mentore’ e a farci ascoltare la sua voce, dopo aver passato almeno una settimana insieme a lei/lui attraverso letture, visioni di video, ricerche. I mentori potranno avere pareri discordanti, addirittura opposti, non siamo qui per giudicarli ma per ascoltare la loro voce, per capire cosa ci direbbero se fossero qui, ora, con noi. Oggi abbiamo con noi Tiziano Thomas Dossena e il suo mentore Emilio Giuseppe Dossena.



TIZIANO THOMAS DOSSENA 


Tiziano Thomas Dossena è nato a Milano dove ha vissuto per i primi sedici anni della sua vita. Emigrato con i genitori in America, ha completato il liceo e conseguito tre lauree prima di ritornare in Italia nel 1978, a studiare medicina. Per alcuni anni ha diretto un’azienda di esportazioni di materiale medico sanitario ma, alla morte del padre, è tornato negli USA, dove ha conseguito altre due lauree e ha iniziato a dirigere la rivista L’Idea Magazine, attività che porta avanti da oltre trent’anni. Tiziano ha anche fondato le riviste OperaMyLove e OperaAmorMio e ha vinto molti premi letterari, sia come giornalista sia come poeta. Ama l’Italia e per questo cerca di far conoscere le attività degli italiani all’estero: scrivendo articoli, pubblicando libri (è il direttore editoriale della casa editrice Idea Press) e gestendo un network nel quale gli italoamericani possano fiorire. Tiziano ha scelto come mentore il padre perché fu proprio lui a spingerlo a scrivere e ad amare l’arte in generale, oltre ad offrirgli un esempio essenziale su come l’essere umano debba comportarsi in una società. 

EMILIO GIUSEPPE DOSSENA

Emilio Giuseppe Dossena è nato a Cavenago d’Adda (ai tempi nella provincia di Milano e ora in quella di Lodi) nel 1903. Dopo essersi laureato all’Accademia di Brera si appassiona a diverse forme di espressione artistica. È conosciuto non solo per i suoi quadri ma anche per le sue decorazioni (Villa Necchi, Villa Invernizzi, il Circolo dei Dadi, la Terrazza Martini, ecc.), per i suoi restauri (nel 1965-66 restaurò tutti gli affreschi del castello di Parrano, in Umbria) e le sue poesie. 
Nel 1968 si trasferì a New York, dove visse per otto anni, lavorando come restauratore per lo studio Berger (che serviva il Metropolitan Museum di New York e altri musei nazionali) ed esponendo le sue opere in varie gallerie statunitensi, con grande successo di vendita. Le opere del periodo newyorchese si distinguono per la vivida colorazione e per la tendenza  neo-espressionistica. Ritornò a Milano nel 1976 e l’Italia fece riemergere la sua vena neo-impressionista, ma con una colorazione legata all’esperienza americana. Negli ultimi anni di vita si dedicò anche alla scrittura di poesie.


Se Emilio Giuseppe Dossena oggi fosse qui:



  1. Metterebbe la mascherina? Se sì, la metterebbe per proteggere sé stesso o per proteggere gli altri?
  • Non ci sono dubbi che la mascherina sarebbe stata parte essenziale della mia nuova vita. Ho sempre tenuto conto delle necessità altrui prima di compiere qualsiasi azione. Proteggere gli altri è essenziale nella nostra vita, nella nostra società; non siamo esseri isolati e indipendenti e proprio per questo sentiamo un impulso di protezione verso gli altri, a volte anche a costo della nostra vita. In fondo, la mascherina non è un grande sacrificio…


  1. Scaricherebbe l’app Immuni? Accetterebbe un controllo sugli spostamenti degli individui? Starebbe a distanza dai propri simili? Baratterebbe la sua libertà per una forma di sicurezza?
  • Sono vissuto in tempi nei quali il computer era agli albori e il telefonino era un telefono ‘gigantesco'. Non so se avrei la pazienza di giocare con le app. Il controllo degli individui è una necessità dettata dalla situazione e io non posso negare l’efficacia dei risultati dell’utilizzo di Immuni ma, in gioventù, ho sempre combattuto contro qualsiasi forma di limitazione della libertà personale. Sono un artista, per me la libertà è la cosa più importante. Vorrei però specificare che c’è un po’ di confusione a proposito della percezione di ciò che è la libertà. Essere liberi non vuol dire far sempre ciò che si vuole. Ci sono sempre state delle restrizioni nella vita: a volte poste dalla natura, a volte dal sistema governativo locale. Servono per proteggerci da situazioni che possono farci del male. Non è niente di nuovo e lamentarci perché non possiamo andare di qui o di là non aiuta nessuno. Certo la situazione può diventare pesante, ma dobbiamo tenere sempre conto del bene comune.

  1. Si sarebbe sentito disorientato in questo momento? In cosa avrebbe sperato per il futuro? Cosa ci direbbe? Cosa farebbe?
  • Siamo tutti disorientati da questo virus che ha causato tanti morti, tanti problemi e degli immensi danni economici. Come potrei non essere disorientato se mi obbligassero a non vedere i miei figli e i miei nipoti? Oppure senza poter andare a dipingere un quadro in campagna? A tutto c’è una soluzione, però. Posso sempre dipingere una natura morta oppure scrivere una poesia…E poi adesso, con la tecnologia che abbiamo, ci si può vedere grazie ai telefonini e ai computer… Tutte queste paure mi ricordano i tempi della Spagnola, quando persi il mio fratellino, che morì proprio davanti a me… Anche allora furono tempi difficili per tutti. Orribili, direi. Il futuro non è altro che un presente differente, in continua evoluzione. Spero si riesca a trovare un vaccino e che la vita torni ad un ritmo normale. Niente di più. Mi auguro inoltre che tutti questi problemi non vengano politicizzati perché non si può far politica sulla vita delle persone. La politica non è filosofia, anche se si può basare su di essa, ma è azione legata a degli ideali comuni.


  1. Cosa definirebbe scuola? Accetterebbe la didattica a distanza?
  • Io sono un uomo semplice e definisco scuola il luogo nel quale posso apprendere ciò che è necessario per poter far parte, in modo costruttivo, della società. La didattica a distanza è molto interessante ma non è niente di nuovo anche se cercano di farla apparire così. In Australia, dove la popolazione è distribuita su ampie zone, usano da molti anni questo tipo di approccio: hanno iniziato con le radiotrasmittenti e poi con i computer, ottenendo ottimi risultati. Ci sono dei vantaggi: lo studente può rivedere la lezione più volte e così capirla meglio, ma anche degli svantaggi: il principale è la mancanza di contatto sociale sia con gli altri studenti sia con l’insegnante, è questo è un grosso limite da superare. C’è poi da considerare l’ambiente famigliare che non è uguale per tutti, quindi, a volte, questo approccio non è molto valido, bisogna ben valutare le situazioni. Lo smart-working funziona molto bene, chiedetelo pure a mio figlio che lo usa costantemente…



5. E tu Tiziano, cosa pensi di quello che sta succedendo? Quale pensiero ci regali oggi?
  • Vorrei poter filosofare a proposito della realtà che stiamo vivendo ma qui, negli Stati Uniti, stiamo soffrendo della insostenibile situazione politica che, sfortunatamente, lascia una grande impronta sulla sanità pubblica e sulla salute in generale. Con un presidente che ancor oggi si vanta di non usare la mascherina, organizza manifestazioni durante le quali le norme di sicurezza e di distanza non sono rispettate, si fa fatica a pensare che il prossimo futuro porti buone notizie. Io mi sono ammalato di Covid 19 a marzo. Sono stato fortunato più di altri e ne posso parlare ma la mia famiglia ha passato un periodo non proprio bello a causa di questo virus. Mi duole pensare che la gente sia così ignorante da credere che siccome c’è il sole il virus non c’è più e tutto ritorna come prima automaticamente. Vorrei avere più fiducia negli esseri umani ma sono deluso dall’atteggiamento di molti anche se, qui a New York, la gente si comporta abbastanza bene in riferimento alla mascherina e a tutto il resto. I disordini sociali legati alla violenza contro le minoranze hanno aggiunto altra confusione e, nonostante siano più che motivati, non sono veramente mirati ad un cambiamento sociale, ma portano a dividere ancor più la popolazione. Distruggere la statua di un generale confederato può anche essere simbolico, ma distruggere la statua di Cristoforo Colombo è solo una sfida alla comunità italo-amaericana che è sempre stata a fianco delle minoranze. Le azioni che dovrebbero portare a dei cambiamenti positivi irritano e inimicano altri gruppi etnici e non ottengono nulla di fatto. Perché parlo di questo in relazione al Covid 19? Perché  l’isolamento, la quarantena, la perdita del lavoro, a volte la perdita dei propri cari hanno lasciato una profonda ferita nella psiche delle minoranze e non, e i fatti di violenza che affiorano sono anche parte di questa tensione che, chiaramente, è nell’aria a lo sarà per molto. In un altro momento, la gente avrebbe reagito, sì, ma non in questo modo. Il virus ha anche questa responsabilità… sta portando ad una divisione sociale che non è né piacevole né costruttiva, specialmente con una classe politica che butta benzina sul fuoco…

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