lunedì 15 giugno 2020

Intervista con la storia: Elisabetta Polezzo e Didone

INTERVISTA CON LA STORIA 3

Il progetto è nato per sensibilizzare e raccontare il periodo di pandemia mondiale che stiamo vivendo.  Chiederemo aiuto a personaggi illustri del passato, a quelle donne e a quegli uomini che hanno fatto la storia.  Ascoltare la loro voce ci permetterà di riflettere e forse ci  aiuterà ad affrontare questo periodo con maggior consapevolezza e saggezza. Sarà la persona intervistata a scegliere il suo ‘mentore’ e a farci ascoltare la sua voce, dopo aver passato almeno una settimana insieme a lei/lui attraverso letture, visioni di video, ricerche. I mentori potranno avere pareri discordanti, addirittura opposti, non siamo qui per giudicarli ma per ascoltare la loro voce, per capire cosa ci direbbero se fossero qui, ora, con noi. Oggi abbiamo con noi Elisabetta Polezzo e la sua mentore Didone.




ELISABETTA POLEZZO


Elisabetta Polezzo ha fatto studi classici e si è laureata in grammatica latina. Ha insegnato per qualche tempo e poi si è trovata, quasi per caso, a lavorare all’Acquario di Milano. Conosce bene le biblioteche e attualmente si occupa di mostre d’arte, in particolare di mostre che hanno come comune denominatore l’acqua.  Grazie a questa passione ha scoperto in quante modalità artistiche diverse questo elemento si possa declinare. Ha tre figli, un marito “storico” e, da poco, un nipote. Per questo motivo non ha mai voluto animali domestici, le è sempre sembrato di aver già fatto la sua parte anche così.



DIDONE 


Didone è stata la fondatrice di Cartagine. Alla storia raccontata da Virgilio che la vede suicida per l’abbandono di Enea, se ne contrappone un altra, di origine asiatica. 
Elissa (questo pare fosse il suo vero nome) alla guida di alcuni suoi fedeli, sarebbe giunta  sulle coste dell’Africa del Nord dove avrebbe fondato Cartagine. Volendo rimanere fedele alla memoria del marito Sicheo, ucciso in patria dal fratello, si sarebbe buttata su una pira accesa per evitare il ricatto di un matrimonio impostole da un re locale.


Se Didone oggi fosse qui:


  1. Metterebbe la mascherina?
  • So a malapena cos’è una mascherina. Però, da quel poco che capisco, mi pare possa presto trasformarsi in uno strumento di tortura. Qui siamo in nord Africa, non vede? E fa molto caldo.  E oltretutto stiamo costruendo una nuova città. La chiameremo Qart- hadašt che nella nostra lingua significa Città nuova. Voi invece la conoscerete come Cartagine e col tempo imparerete a temerla.  Insomma stiamo lavorando, e molto, all’aria aperta. Quindi alla fine la farei indossare  solo in certe circostanze. D’altro canto ho guidato una parte del mio popolo in un viaggio per mare lungo e pericoloso, scappando da quel pazzo omicida di mio fratello che, dopo aver ucciso mio marito, si apprestava a fare lo stesso con me. Non metterei certo a repentaglio la vita di tutti per una sciocchezza simile. Forse quindi alla fine la utilizzeremmo. Certo, farei in modo che me ne venissero tessute alcune di fili preziosi. Sono pur sempre una regina e anche una bella donna a quanto si dice. 


  1. Scaricherebbe l’app Immuni? Accetterebbe un controllo sugli spostamenti degli individui? Starebbe a distanza dai propri simili? Baratterebbe la sua libertà per una forma di sicurezza?
  • Davvero esiste qualcosa che possa seguire i tuoi spostamenti? Beh, mi sarebbe piaciuto averla a disposizione quando quel traditore di Enea ha tentato di andarsene senza neanche avvisare. Io la chiamo vigliaccheria, lui invece responsabilità verso gli dei e la sua gente. Mah, punto di vista! In ogni modo non mi piace che si sappia sempre dove sono e chi incontro e non vorrei lo stesso per il mio popolo. Ma la vita da regina mi ha insegnato che a volte il fine giustifica i mezzi. Se così facendo riuscissimo a sconfiggere quel piccolo nemico portatore di morte che voi chiamate virus beh... ci si potrebbe pensare.


  1. Si sarebbe sentita disorientata in questo momento? In cosa avrebbe sperato per il futuro? Cosa ci direbbe? Cosa farebbe?
  • Disorientata? Io? Ci vuole ben altro, mi creda. Come accennavo prima, sono scappata dalla mia terra per salvarmi la vita. Ho guidato le mie navi in un viaggio lungo e pericoloso per approdare qui in Africa e fondare una nuova città. Ho combattuto, usando anche l’astuzia, per avere il diritto di stabilirmi qui. Quando tutto sembrava andare per il verso giusto, ho incontrato un uomo, Enea, che mi ha fatto perdere la testa con tutte le sue storie da fuggiasco da Troia. Era proprio un bell’uomo però e aveva anche un delizioso bambino, il piccolo Ascanio. All’inizio tutto sembrava perfetto. Lui diceva di amarmi e io già immaginavo un futuro insieme, qui a Cartagine. Poi lui è cambiato. Diceva che la sua missione era un’altra e che, a malincuore certo, mi avrebbe lasciata. Così, un bel giorno, ha caricato tutti i suoi compagni sulle maledette navi e se ne è andato, di nascosto. A quel punto non ci ho visto più. Ho maledetto lui  e tutti i suoi discendenti e, a quanto ne so, la mia maledizione è andata a buon fine. Noi Cartaginesi abbiamo dato del bel filo da torcere a quegli spocchiosi Romani. Annibale è un nome che le dice qualcosa? Quindi, tornando alla domanda se mi sento disorientata, le rispondo che ci vuole ben altro. Il futuro non spaventa chi ha affrontato tanto.

  1. Cosa definirebbe scuola?
  • La scuola è importante. Ai miei tempi non è che ci fosse proprio un obbligo, come mi dicono abbiate invece voi, ma il sapere era fondamentale. Come pensate che avremmo potuto costruire case e templi senza avere nozioni di geometria e matematica? O leggere quanto scrivevano gli antichi poeti - compreso quel bel elemento di Virgilio che mi ha descritto come una povera donnetta piangente,  se non avessimo avuto maestri che ci insegnassero a farlo? 

  1. E tu Elisabetta, cosa pensi di quello che sta succedendo? Quale pensiero ci regali oggi?
  • Non sono una regina e non ho avuto in sorte una vita avventurosa come quella della mia cara Didone, e di questo  ringrazio Dio. In questi tempi bui ci è stata data la possibilità di riflettere su quanto fragile e precaria sia la nostra vita . Parole come epidemia, contagio, quarantena ci hanno catapultato in un mondo lontano e oscuro, nel quale poco ci è mancato di sentire i monatti che bussavano alla nostra porta. C’è stato tutto il tempo dunque per riflettere su ciò che davamo  per scontato. C’è stato tutto il tempo e anche di più. Certe giornate si sono come dilatate, lasciando spazio a quello che pensavamo dimenticato. Sono convinta che i cambiamenti veri abbiano bisogno di sedimentare a lungo dentro di noi. Ora è troppo presto per valutare quanto e se siamo cambiati. Ora è tempo di fare, di ricominciare, di muoverci. Siamo fatti per questo.

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